Confessioni di un creativo d’eccellenza: Federico Fellini.
Qualche volta, rivedendo per caso – perché non li rivedo mai i miei film – mi è venuta spontanea la domanda: Ma chi è che ha fatto questa cosa? Nel momento in cui faccio il mio lavoro, nel momento in cui divento un cineasta, vengo abitato da uno oscuro abitatore, un abitatore che non conosco, prende le redini della baracca, dirige tutto quanto al posto mio e io metto a disposizione soltanto la mia voce, il mio senso artigianale, i miei tentativi di seduzione o di plagio o di autorità, ma è un altro che ha veramente.. un altro con cui convivo ma che non conosco in una maniera diretta tranne che così, appunto, per sentito dire.
La memoria
La memoria è una componente misteriosa, quasi indefinibile, che però ci lega a qualche cosa che forse non ricordiamo nemmeno di aver vissuto ma che però continuamente ci sospinge ad entrare in contatto con dimensioni, con avvenimenti, con sensazioni che non sappiamo definire ma che sappiamo confusamente che ci sono stati. Una mia naturale inclinazione è proprio stata quella di inventarsi una giovinezza, un rapporto con la famiglia, un rapporto con le donne, con la vita. Credo di aver sempre inventato. Per me sono molto più vere le cose che non sono accadute ma che mi sono inventate.
L’attesa
In che cosa riconosco qualche cosa che ha a che fare con la parte più genuina di me stesso? Ma, francamente non lo so. Mi pare di riconoscere una certa continuità in un sentimento di attesa. Non mi riconosco una volontà secondo la quale la mia vita ha preso un indirizzo piuttosto che un altro. Le cose si sono presentate in maniera molto naturale e io mi sono trovato ad abitarle, a viverle, a gestirle con molta naturalezza, come se tutto fosse già predisposto. Anche i film, di volta in volta, non sono stati scelti, quel film invece di un altro. Era come se – scusate questo paragone un po’ ridicolo – come se io fossi un treno e le stazioni, i film, come se fossero già pronti, già maturati, già predisposti, in un certo senso già quasi realizzati. Ho sposato la compagna giusta per un tipo come me; ho incontrato gli amici giusti al momento opportuno e quindi adesso mi sembra che sono stato particolarmente fortunato a non contrastare, a non equivocare, a riconoscere la persona che in quel momento voleva proprio aiutarmi e a non dubitare troppo sulla opportunità di fare un’amicizia o di dare fiducia. Un film, anche se molto complesso da realizzare e che richiede molto tempo, in effetti può esistere in una sensazione, in un sospetto, in un’anticipazione che può essere un colpo di luce, un suono, insomma il solito discorso che si fa sull’arte e su un’opera d’arte che può essere stata anticipata, annunciata al suo autore anche da un profumo. La vita intera può essere suggerita a una creatura non vivente ma che desidera vivere, può essere suggerita dal tremolio di una foglia.
Il mago
La passeggiata nel bosco, per esempio, con l’accetta sulla spalla e nella lama dell’accetta il brillare del sole che mandava continuamente lampi tra le foglie, ecco è stato un esempio di come il cinema poteva raccontare proprio in maniera più fantastica, più complessa, la realtà che ci circonda. Siccome mi sembra che realizzare dei film sia proprio il modo più naturale e spontaneo di realizzare me stesso, l’esperienza non può avere niente di infelice. A parte il divertimento della creazione, di creare, di inventare un mondo, di inventare dei personaggi, delle situazioni, di risolvere tanti problemi tecnici, artigianali, di espressione soprattutto, c’è poi una soddisfazione più profonda, più segreta, più spudorata che ha a che fare con il mito di Narciso e con questa idea di semipotenza divina, insomma. Praticamente un creatore ha sempre qualche cosa del Padre Eterno. Un narratore è obbligato a parlare soltanto di se stesso. Mi interesso a tutto e credo in tutto. Mi sembra molto più comodo e anche molto più igienico mentalmente. D’altra parte come posso essere diffidente, essere scettico, essere troppo prudente con il mestiere che faccio. Faccio un mestiere che mi comprova continuamente che sono un mago.
La disponibilità
Sono fedele a questa disponibilità di mettermi al servizio della fantasia che devo materializzare. Ogni immagine è diversa. Ogni momento è completamente diverso. Non ho creato un sistema, non potrei fare scuola. Il mio metodo di lavoro è un disporsi totalmente, un essere aperto.
L’artista come medium artigiano
Credo che un’artista sia un medium in un certo senso. È soltanto una mente, dei nervi, un corpo, delle mani…è proprio un simulacro per essere abitato da un sogno, da una fantasia, da un’idea, da un sentimento che diventano poi personaggi, situazioni: diventa una storia. Quindi lui deve soltanto riuscire a materializzarla con quella che è la sua esperienza artigianale, da artigiano. Un medium artigiano, insomma. Io non credo che il termine improvvisazione abbia a che fare con il processo della creazione artistica: è una parola assolutamente inadeguata, anche irritante. Io non adopererei improvvisazione, ma adopererei un altro termine: direi che è necessaria la disponibilità, cioè rendersi disponibile alla cosa che sta nascendo e che ancora è informe, magmatica, confusa, non delineata. Tutto può essere interpretato dopo come delle pause e dei contrasti, delle frizioni necessarie perché tu avessi modo di portare dei cambiamenti, delle mutazioni, degli arricchimenti alle quali non avresti pensato. La prima settimana, le prime due settimane sono io che dirigo il film. Dopo, dopo le prime due settimane, è il film che dirige me.
Il cinema e la finzione
Il cinema, essendo tra le forme artistiche quella che più di ogni altra sembra che assomigli alla vita, ha bisogno di un’esattezza, di respiro, proprio, di gesti, di atteggiamenti. Esprimere un sogno, una fantasia è un’operazione di alta matematica algebrica; è come mettere nello spazio un’astronave. Un verde deve essere esattamente quel verde, come per un pittore: un’ombra di luce deve avere esattamente quel taglio. Così come è meticolosa la vita, che sembra apparentemente casuale e invece è esattissima nei suoi equilibri. Un cineasta è più protetto di un altro tipo di artista nel contatto con le proprie zone inconsce: è protetto da un rituale che forse segue inconsapevole, segue inconsapevolmente, cioè la troupe, la luce – accenderla o spegnerla – le prove, i passi, suggerire un’invenzione continua scenografica, coreografica…fingere, fare un mare finto, un prato finto, un temporale finto… tutta questa finzione, tutta questa rappresentazione probabilmente, inconsapevolmente, non fa che ripetere un certo rituale magico di protezione.
Il tempo
Ma io non credo che ci sia la possibilità di fare una definizione, una linea di divisione così netta fra il passato, il presente, il futuro, l’immaginato, il ricordo di qualcosa veramente accaduto. Io penso che chi per professione ha scelto o ha seguito la vocazione di raccontare delle storie sia in grado di distinguere. Nel momento in cui crea un piccolo universo questa creazione è totale, cioè è un universo completo anche nel tempo, non soltanto nello spazio topografico dei luoghi o la descrizione dei personaggi, ma anche il tempo è inventato. Non credere è una fatica, è un bloccarsi, è un costruirsi delle barriere, dei limiti; mentre invece credere mi sembra che appartenga a quel sentimento vago di cui prima parlavo come una nota fondamentale in cui mi riconosco: l’attesa. Anche credere fa parte di un’attesa, ma non parlo – non voglio dare nessuna atmosfera mistica a queste dichiarazioni. Parlo proprio di uno stato dell’anima, di uno stato quotidiano in cui questo sentimento di attesa mi sembra che non mi abbia mai abbandonato.
La paura
Paura mi sembra un’espressione esagerata anche se la paura è un sentimento da coltivare per un creativo. In generale credo che l’uomo non possa fare a meno della paura, cioè del timore. Un uomo senza paura mi sembra che sia uno stupido oppure un robot. La paura mi pare un sentimento imprescindibile dall’umanità.
La psiche
L’aggressione di un certo tipo di esperienze fatte senza una guida ma vissute, così, per un dono naturale o per una serie di coincidenze che si sono sommate una all’altra fino a portarmi a sviluppare un certo tipo di sensitività che, appunto, a volte, non controllata, poteva creare grande eccitazione fantastica ma anche qualche complicazione sul piano, così, della sensibilità insomma. Io credo che per un’artista, un creativo, una eccessiva consapevolezza dei processi per cui realizza le sue cose non gli sia giovevole. Un’eccessiva conoscenza di come si svolge il processo mi sembra possa essere dannosa, ostacolante, cioè interrompere quella fondamentale, vitale, indispensabile energia che chiamiamo spontaneità, ecco, il segreto della vita. Infatti, per giudicare…l’unico criterio estetico che io mi sento di approvare per giudicare un’opera d’arte non è tanto dire bello o brutto secondo certi parametri, secondo certi canoni delle varie estetiche stabilite nei secoli, secondo i vari punti di vista, le varie culture…ma se è vitale. Ecco, questa mi sembra la definizione che più mi appartiene e che mi permette di potere entrare in contatto con l’espressione artistica di un artista, insomma, di un creatore, sia un pittore… Certamente nel tipo psicologico, così, creativo, artista, è evidente che trae nutrimento proprio da quelli che sono i traumi psicologici, le ferite, le ammaccature della sua esistenza psichica. La nevrosi ha un carattere di provvidenzialità anche a livello, così, diciamo di costituire un deposito, un magazzino, un antro di tesori in cui può pescare a piene mani. Tutte le favole raccontano, infatti, del tesoro sepolto in fondo al mare o dentro una caverna e guardato da mostri, da draghi…ecco si tratta di vincere questi draghi per potere appunto…Certamente questo pericolo ha portato tanti grandi artisti a identificarsi con gli aspetti più che nevrotici psicotici dell’impresa e hanno pagato uno scotto molto caro per essersi avvicinati forse troppo a certe verità senza la protezione o di una conoscenza psicanalitica – quando ancora la psicanalisi non aveva costituito questa specie di amianto per proteggere da queste fiamme o dal contatto con le dimensioni cariche di magnetismo.
L’arte
Credo che sia una necessità, un’interpretazione della vita che probabilmente abbandonata così a se stessa invece apparirebbe priva di senso, priva di significato, mostruosa. L’arte è invece qualche cosa che ci conforta, ci rassicura, ci racconta della vita in termini estremamente protettivi, ci fa riflettere sulla vita che di per sé sarebbe soltanto un cuore che batte, uno stomaco che digerisce, dei polmoni che respirano, degli occhi che si riempiono di immagini prive di senso. Credo che l’arte sia il tentativo più riuscito di inculcare nell’uomo l’indispensabilità di avere un sentimento religioso e che l’arte, qualunque arte, esprime.
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Tratto dal documentario Io sono un gran bugiardo, un film di Damian Pettigrew con Federico Fellini, Roberto Benigni, Terence Stamp, Donald Sutherland. Titolo originale Fellini: I’m a Big Liar. Documentario, durata 105 min. – Gran Bretagna, Francia, Italia 2002.