(Genova, 1896 – Milano, 1981)
Nobel per la Letteratura nel 1975. Per la sua caratteristica forma poetica che, con grande sensibilità, ha interpretato i valori umani nella prospettiva di una vita senza alcuna illusione.
Eugenio Montale è un un poeta italiano. Partecipò come ufficiale di fanteria alla Prima Guerra Mondiale. Nel dopoguerra tornò a Genova ed entrò in contatto con i poeti liguri C. Sbarbaro, A. Barile, A. Grande; fu un periodo di intense letture, di incontri con i poeti, filosofi, e scrittori italiani e stranieri. Dopo la prima raccolta, Meriggiare pallido e assorto, uscita quasi clandestinamente durante la guerra, nel 1925 sono pubblicate da P. Gobetti le poesie Ossi di seppia, di cui rimasero storicamente legati agli ideali degli uomini, malgrado fossero passati molti anni dalla dittatura, i due famosi versi dell’epigrafe: “Codesto solo oggi possiamo dirti: ciò che non siamo, ciò che non vogliamo”. Ma alcuni critici hanno sottolineato che questi versi, contrariamente a quanto si è sempre creduto, non erano riferiti all’ideologia del fascismo. Nel 1939 uscirà il suo secondo libro di versi, Le occasioni. Questo volume ha rappresentato, forse, il punto più intenso, alto, sicuro e assoluto della poesia di Montale in cui, anche per il tragico e drammatico periodo storico (l’alleanza di Mussolini con Hitler e l’inizio del secondo conflitto mondiale), vi si avverte il disegno di una “storia di desolazione”, e ha chiarito ai giovani intellettuali, già stanchi della vuota retorica fascista, “lo sbandamento in cui si trovavano e che non riuscivano a definire”. Concetti espressi chiaramente anche nella raccolta Finisterre del 1943. Nel 1948 si trasferì per lavoro a Milano, al Corriere Della Sera; poi divenne anche critico musicale del Corriere d’Informazione. In quel periodo apparvero le poesie La bufera e altro, Satura e le prose Farfalla di Dinard, Auto da fè, Fuori di casa, Diario del ’71 e del ’72 (pubblicato nel 1973), Quaderno di quattro anni, dove tuttavia si nota già, almeno nelle poesie, una caduta di tensione e di passione. Svolse moltissimi lavori come traduttore, e alcune sue versioni dei poeti Eliot, Pund, Guillén, Kafavis e altri, sono raccolte nei Quaderni di traduzioni. Anche se non ha mai creduto nell’impegno politico dei poeti, nel 19775 ha accettato la nomina di senzatore a vita, conferitagli sicuramente per il lavoro svolto nel campo delle lettere, e della poesia in particolare, a gloria dell’Italia. L’embrione della sua poesia, come ebbe modo di dire varie volte, è legato alla sua terra d’origine, le Cinqueterre; ma sotto il profilo della maturazione culturale sono i vent’anni trascorsi a Firenze che hanno rappresentato per lui l’approdo in un mondo dove la cultura, le idee, l’umanesimo trovano il massimo respiro. La sua parabola umana e poetica è immersa nelle desolazioni delle ansie e dei patimenti dell’età contemporanea, anche se la luce dell’intelletto non viene mai meno; anzi, nel totale deserto delle disillusioni, può assumere, a volte, il segno premonitore della fine del tutto e quindi della salvezza.
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Tratto da I Premi Nobel. La vita, le scoperte e i successi dei premiati in fisica, chimica, medicina, letteratura, pace, economia, dal 1901 al 2016, BookTime, Milano, 2016.